Le immagini della stazione iniziano a farsi meno nitide. Tutto procede a scatti e sempre più lentamente scivola verso una distesa piatta, fatta di eco e oblio. Piano, tra le varie opzioni che si fanno largo nella mente reputo il cadere a terra come quella più sicura. Mi lascio andare scoprendo il pavimento freddo, ruvido e sporco di una stazione che non si cura di un singolo passeggero e continua le corse e gli affanni dei suoi utenti.
E’ la crisi che ci vuoi fare? E’ la crisi che ti fa perdere tempo. Che lo divora senza darti nulla in cambio. Resto immobile benché consapevole che mi devo muovere e che intralcio e do fastidio a qualcuno. Non me ne curo e la discesa sembra continuare nonostante il freddo. Così come continua il brusio assordante della gente. Mi sembra di svenire anche mentre sono già svenuto. Continuo a pensare che rimarrò fermo lì per molto tempo. Poi sento una mano accarezzarmi il viso. E’ una mano calma e calda. Ne rimango catturato anche se ancora inconsapevole di chi sia l’anima buona che si è fermata anche se non so dopo quanto tempo perché il concetto stesso del tempo è così confuso da non darmi pena per contemplarlo. Rimango fermo incapace di vedere e sentire altro che le continue carezze sul viso.
Poi come un interruttore la vista ritorna. Sono affannato e stanco anche se probabilmente invece di stanchezza è il dolore della caduta che inizia a farsi sentire. Poco male.. quello è un dolore che passerà. Una nuova carezza mi fa tornare in mente tutte quelle che ho ricevuto fino ad ora e rivolgo lo sguardo verso l’anima che così gentilmente mi ha rincuorato. E’ una ragazza. Ha un viso con i lineamenti familiari anche se non la ho mai conosciuta. La guardo e vorrei ringraziarla. E’ tutto fermo e va tutto così a rallentatore che non riesco a pronunciare quelle parole. Così rimango a fissarla con tutta la calma che posso e con tutta l’intensità che uno sguardo in questi casi può dare. Penso a tutta una serie di situazioni che avrei potuto inventarmi per conoscerla e a quanto sia fortunato che ci sia stata in questo momento. Tra un po’ arriverà l’ambulanza e non la rivedrò più e così provo a chiedermi cosa avrà lei nei suoi occhi. Cosa starà osservando e chi starà accarezzando? Mi sforzo di vedermi con i suoi occhi. Almeno ci provo e a parte cominciare a piangere non trovo di meglio da fare. Lascio che siano le lacrime il mio grazie anche se alla fine sono una consapevolezza orrenda che non avrei mai voluto avere.
Intanto, come si sia accorta dei miei pensieri, mi accarezza come se provasse dispiacere nel provar pena per lo sconosciuto che ha di fronte. Pena.. la parola continuo a sentirla in testa.. finché la sveglia suona e una nuova giornata da e per quella stessa stazione comincia…
Le mie paure continuano a farsi vive e si concentrano nei sogni che ho ripreso a fare dopo l’operazione e senza l’ausilio di bere te verde. Poco male.. volevo scrivere perché racconta me e le paure di chi ha a che fare con la malattia in genere e con la SM in particolare. Paure estranee a chi, grazie al cielo, è in salute. Non mi è più capitato dalla prima operazione di sentirmi così confuso da non capire più niente ma ricordo benissimo come mi sono sentito.. è una strana sensazione da vivere e da sognare e per il momento sono contento che sia ritornata così: semplicemente in sogno.